Messina, medici e militari attorno a un ferito |
Nella città sotto l'Etna la forte scossa delle 5.21 aveva svegliato tutti. Le pareti delle case avevano oscillato per lungo tempo, i vetri delle finestre avevano vibrato sonoramente, le campane delle varie chiese si erano messe a suonare in modo spontaneo. La cittadinanza, svestita e impaurita, si riversò subito per le strade. Alla Marina, onde di maremoto alte un paio di metri avevano invaso la parte della città vicina al mare, e due donne erano annegate in un "basso". La gente, un po' rincuoratasi per lo scampato pericolo, osservava che il mare si innalzava periodicamente, per circa tre metri, e poi retrocedeva lentamente, lasciando scoperta una striscia di fondale larga una ventina di metri. In mattinata arrivarono notizie rassicuranti dai paesi della Provincia, e anche l'Etna, verso cui tutti guardavano con preoccupazione, era calmo come non mai. Ma non arrivavano notizie da Messina. Solo dopo le dodici, e soprattutto nel primo pomeriggio, con l'arrivo delle poche navi dallo Stretto (Washington, Montebello, Avvenire), si ebbero dai testimoni oculari le prime notizie della catastrofe nelle due città vicine.
Passarono solo sei anni o poco più, e un altro terrificante sisma colpì l'Italia. Oggi è quasi dimenticato, ma per il numero delle vittime e le immani distruzioni, il terremoto della Marsica è fra i primi disastri degli ultimi secoli, nel nostro Paese.
Quasi 30.000 vittime, secondo altre stime più di 40.000, nella città di Avezzano e in numerosi altri centri delle regione a cavallo fra il Lazio, l'Abruzzo e la Campania.
Il terremoto si verificò all'alba del 13 gennaio 1915.
Avezzano, fiorente cittadina che ospitava 11.000 persone, ebbe 10.700 morti; si salvarono cioè (particolare allucinante) solo trecento abitanti, e solo una casa, l'unica costruita con sistemi antisismici, rimase in piedi.
Alcuni paesi del circondario furono severamente provati dallo sconvolgimento tellurico. Pescina e Sora ebbero ciascuno 5.000 morti. Gioia dei Marsi ne ebbe 3.500 (ben più delle vittime del sisma dell'Irpinia, nel 1980). Un'altra decina di paesi ebbero, ciascuno, da 300 a 800 vittime. Anche in questo caso, piuttosto stranamente (considerata la vicinanza alla capitale) la notizia del terremoto arrivò a Roma solo a tarda serata, anche se le scosse rovinose si erano avute poco dopo le sette del mattino e anche se erano state avvertite benissimo a Roma.
I soccorsi, male organizzati, arrivarono quindi l'indomani, e si ripetè la crudele circostanza dei molti feriti gravi che morirono per mancanza di cure.
Per trovare un altro terremoto con numerose vittime bisogna andare al 23 luglio 1930, quando il Vulture, vicino all'Irpinia, venne sconvolto da forti scosse telluriche, in cui morirono 1.425 persone.
Poi vi fu un periodo abbastanza lungo senza gravi sismi. Dopo trentotto anni si arriva al 1968 (Belice, 300 deceduti), al 1976 (Friuli, mille vittime) e al 1980 nell'Irpinia, violentissimo, che causò circa 3.000 morti.
-------------------------------------------
Il 26 dicembre 2004, con una data sorprendentemente vicina a quella di novantasei anni prima, abbiamo avuto la tremenda sciagura del sud-est asiatico. Golfo del Bengala: le fasce costiere di Birmania, Thailandia e Indonesia, nonché (tre ore dopo) India, Sri Lanka e Maldive furono devastate da alte e distruttive onde di maremoto. Il bilancio, da catastrofe epocale: più di 300.000 vittime. Un'ecatombe inimmaginabile, anche perché per alcune zone (India, Sri Lanka e Maldive) la popolazione poteva benissimo essere avvertita, e fatta spostare all'interno. Bastava allontanarsi a piedi per soli 500 metri dalla costa, o salire su eventuali alture circostanti, per salvarsi dal mare mugghiante. Ma nessun avviso arrivò alle popolazione ignare. Ricordiamoci che c'erano state tre o quattro ore di tempo, dopo lo tsunami improvviso sulla parte est (Sumatra e Thailandia) del grande Golfo, per avvisare con la TV, la radio, altoparlanti di mezzi locali e avvisi sui cellulari, dell'imminente pericolo. I sismologi sanno bene che un terremoto di magnitudine superiore al nono grado Richter innesca sicuramente onde di maremoto. E poi c'erano le devastazioni appena avvenute, e ben conosciute, in Indonesia e Paesi limitrofi. Potevano, dovevano avvisare i Governi.
L'onda procedeva velocissima, ma lo spazio da superare era molto grande, e il tempo per lanciare l'allarme c'era. Ma nessuno avvisò, misteriosamente: morirono così altri 40.000 esseri umani, che potevano forse salvarsi.
E così, passata una nottata orribile, nell'incertezza sull'avvenire, si arrivò all'alba del 29 dicembre. E allora tutto si mise in moto, come una macchina bloccata che improvvisamente si rimette a funzionare.
Con i primi chiarori, apparve nello Stretto una teoria di navi militari. Erano le navi della flotta russa, che si trovava il giorno prima nel porto di Augusta, e che era stata avvisata della tragedia di Messina dal sindaco della città. La corazzata Makarov, gli incrociatori Cosarevic, Slava e Oslav. Subito dopo, ecco i mezzi della Marina di Sua Maestà, la corazzata Sutley, gli incrociatori Euryalus e Duncan. A bordo c'erano decine e decine di marinai, dotati di tutti i mezzi indispensabili per salvare i sepolti vivi, portare i feriti sulle navi, dove sarebbero stati curati come si deve per la prima volta. Scale, barelle, corde, ogni sorta di strumenti per scavare, tende, medicinali, viveri e bevande.
Le navi della flotta russa, al comando dell'Ammiraglio Leitimov, si disposero all'interno del porto. Mentre le navi inglesi, sotto il comando dell'ammiraglio Curzon Howe, rimasero in rada. Il porto era ancora ingombro di ogni sorta di legname, di barche rotte, e di molti, troppi cadaveri.
Via vai di scialuppe |